Il sant'uffizio?
Peggio della Gestapo

CULTURA Mercoledì 28 Febbraio 2001


«Jesus» pubblica i diari del teologo domenicano

CONGAR: «Il Sant’Uffizio? E’ peggio della Gestapo»

Marco Tosatti


CITTÀ DEL VATICANO IL Sant’Uffizio come la Gestapo: non sono parole di un teologo della Liberazione o di un protagonista del dissenso alla Hans Küng, ma di uno dei «padri» della Chiesa moderna, Yves
CONGAR, uno dei pilastri dottrinali del Concilio Vaticano II, morto cardinale per volontà di Giovanni Paolo II.

Sono parole del diario personale dello studioso domenicano che Jesus, il mensile della San Paolo, sta per pubblicare. Ne emerge il ritratto di un’epoca cupa, di una Roma vaticana oppressiva e occhiuta. A Roma Yves CONGAR, nato a Sedan nel 1904, giungerà subito dopo la Seconda Guerra mondiale nel 1946. San Pietro lo colpisce, gli sembra adatta «per le grandi cerimonie della cattolicità», ma ben poco invece (veste l’abito domenicano, è un religioso) «alla preghiera interiore e all’ufficio monastico». A Roma incontra molti ecclesiastici, in quel primo viaggio, e soprattutto Giovanni Battista Montini, futuro Papa Paolo VI. Si gettano in quel viaggio le fondamenta di un’amicizia destinata a durare sempre; anche quando il teologo verrà colpito dai fulmini del Sant’Uffizio - che allora si chiamava così, non era ancora la più tenera Congregazione per la Dottrina della Fede.

Yves CONGAR è stato un profeta della chiesa cattolica come la conosciamo adesso, con le sue aperture, i suoi «mea culpa», i suoi slanci verso il mondo esterno. Come tutti i profeti - e non fu solo: basti pensare a De Lubac, a Chenu, allo stesso Jean Danielou - pagò il prezzo dell’incomprensione, della resistenza della vecchia struttura.

Il Sant’Uffizio: «Odio la Gestapo ovunque essa si trovi», scrive il teologo preso di mira. Roma non è più la città «scoperta» con freschezza nel dopoguerra: è un idra dalle sette teste, anzi la «Bestia dell’Apocalisse», un mostro da combattere affinchè «le generazioni a venire non ne subiscano il potere». Sembra di leggere un polemista protestante del sedicesimo secolo, e invece no: CONGAR, mite, introverso, non accetta di essere accusato di deviazioni dottrinali, senza potersi difendere in maniera efficace «contro un sistema poliziesco» che agisce in segreto. Cerca di dialogare, di capire, ma riceve ogni volta la stessa risposta, riportata nelle sue pagine del Journal d’un theologien: «Altolà! Segreto del Sant’Uffizio». Si lamenta: «Dappertutto ci si scontra contro questo segreto tenebroso, contro natura, strumento di un’oppressione che attenta alla vita delle persone e al rispetto del pensiero». Pio XII, Papa Pacelli, lo riceve in udienze, e gli lascia un’impressione positiva; non così alcuni stretti collaboratori del Pontefice. Nel 1950 però l’enciclica Humani generis apre il fuoco contro «le nuove tendenze che si agitano nelle scienze sacre». È lo stesso anno in cui CONGAR pubblica «Vera e falsa riforma nella Chiesa», un manifesto contro l’integralismo, un appello al ritorno alle fonti bibliche. Inizia il suo calvario, che raggiunge il culmine nel 1954, i domenicani francesi, troppo favorevoli ai «preti operai» e disponibili a «coprire» i teologi scomodi sono nella tempesta, CONGAR va in «esilio»: Gerusalemme, Strasburgo e Cambridge. Soffre: «Ciò che mi colpisce di più è il cretinismo, l’inverosimile povertà di intelligenza e di carattere. Il sistema ha fabbricato servitori a sua immagine». È veramente il deserto, per il teologo domenicano: «Devo fare i conti con un sistema spietato, un sistema che non può correggersi e neppure riconoscere le sue ingiustizie, e che è servito da uomini disarmanti per bontà e pietà». In quella notte dell’anima Yves CONGAR giunge persino a considerare l’ipotesi del suicidio, di fronte al fallimento a far capire la necessità per la Chiesa di «liquidare la teologia barocca». «Sono stritolato, distrutto, fottuto, scomunicato da tutto». Si percepisce persino - in quel mondo in parte reale, in parte immaginario, popolato da delatori e mestatori, complici di un potere ostile, il soffio della paranoia: il teologo teme agguati continui, insidie, doppiezze.

Il diario si chiude nel 1956, e le ultime pagine sono improntate al pessimismo più cupo. Eppure la fine della lunga stagione invernale per CONGAR non è lontana: due anni più tardi al soglio di Pietro giunge Giovanni XXIII, e con il Concilio le «eresie» di CONGAR si trasformano in leggi della Chiesa.

 

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