Sbarramenti dell'incultura

  • TREVISO

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     Nella foto a lato il cartello appeso al cancello di una casa colonica a Zero Branco

     Cartello appeso ad una cancellata

    «No extracomunitari e zingari»

    IL CASO Gli sbarramenti dell'incultura

     di Antonio Frigo

    Guardate il cartello ritratto nella foto a destra. A qualcuno ricorderà quelli che apparivano in Svizzera e in Germania nel primo Dopoguerra. Vi si leggeva: «Vietato l'ingresso ai cani e agli italiani».

    Qualcuno che, per ragioni anagrafice, avrebbe potuto ricordarlo, per ragioni politiche lo ha dimenticato in fretta e ne ha dato prova la scorsa settimana, durante la vicenda dei magrebini sfrattati e costretti a dormire sotto il colonnato del Duomo. Ma proprio in quei giorni, chi tutto questo lo ha patito sulla propria pelle, si è fatto vivo per raccontare e per ammonire gli intolleranti. Per rinfrescare la memoria a chi l'avesse... voluta perdere, potrebbe bastare la foto che pubblichiamo e che è stata scattata domenica dal nostro reporter.

    Per vedere il capolavoro "dal vivo", basta andare nelle nostre ricche campagne, magari dalle parti di Zero Branco, dove, tra una "caccia al boa" e una festa strapaesana inneggiante al dio peperone, le colture producono ricchezza economica e, talvolta, incultura sociale. Da queste parti come altrove, sorgono dei veri e propri fortilizi, casematte da «Linea Maginot del buonsenso» che sbarrano il passo al nemico, per difendere la «casa» e la «roba».

    Chi è il nemico? Rubando le parole a un noto giornalista-scrittore, passato per Treviso nei giorni in cui Gentilini, per evitare l'annacquamento della Razza Piave, le dava da bere dosi massicce di intolleranza, il nemico sono «Lòri». Lòri chi? «Lòri». Ovvero «gli altri». Inutile dire che i cartelli non riescono a tener lontani i ladri e che, quindi, l'altolà espresso dall'anonimo rappresentante della tribù dei Razzapiave (più Sile che altro) è uno sbarramento ideologico più che un deterrente per chi volesse intrufolarsi nel Sancta Sanctorum del radicchio precoce e del peperone quadrato. Qualcosa di simile si dev'essere visto anche in Sudafrica ai tempi dell'apartheid, con i risultati che ben conosciamo e con intolleranze rovesciate e cruente.

    Guardiamo dunque quel cartello, appeso a una «signorile» cancellata in ferro battuto che sbarra il passo all'entrata di una grande casa colonica, preannunciata da uno pseudogarage che custodisce il gippone-status-symbol. C'è scritto «No extracomunitari, no zingari - e, in testa al tutto - no testimoni di Geova», considerati quindi un'etnia e non una religione.

    Il divieto d'ingresso ai cani? Quello no: i cani sono all'interno. Magari zannuti, a difesa della «roba», come testimonia il cartello «attenti al cane» lasciato a monito di chi volesse tentare di intrufolarsi nel tempio del benessere che profuma ancora di recentissime «polente e scopetòn». Alle quali si ha ancora il timore di tornare per colpa di «testimoni di Geova, extracomunitari e zingari».

    Gli unici ad aver fatto il salto di qualità, in questo tipo di cultura, sono loro: i cani. Meglio se da difesa o da combattimento. Meglio se Razzapiave, magari con un fiuto particolare per testimoni di Geova, extracomunitari e zingari.

    Sono passati dall'altra parte della barricata e adesso azzannano gli antichi compagni di sventura.

     http://www.tribunatreviso.quotidianiespresso.it/tribunatreviso/arch_03/treviso/cronaca/tc303.htm

     

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