Vescovi e Dio

INTERNI Domenica 07 Ottobre 2001 - Da 'La Stampa' online

IL PREFETTO: «SIATE PRONTI A SOFFRIRE PER LA VERITA’». 
LA REPLICA INDIRETTA ALLE CRITICHE DEL TEDESCO LEHMANN 
dibattito Ratzinger ai vescovi: parlate troppo poco di Dio Marco Tosatti

CITTÀ DEL VATICANO CARI vescovi, la Chiesa deve pensare ad annunciare il Vangelo, e soffermarsi meno su «i propri problemi interni»; Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, striglia il Sinodo, ma non solo, e lancia un messaggio di cristianesimo senza sconti che gli procura applausi a scena aperta fra i duecentocinquanta presuli, e l’approvazione del Pontefice. «Un mondo senza Dio è un mondo senza speranza», e e nella parole del porporato la crisi della cultura contemporanea è fondata sull'assenza di Dio, o su una concezione astratta di Dio, che nelle mani degli uomini diviene strumento di egoismo e fanatismo. Allora il compito fondamentale del vescovo è «annunciare Dio con il volto umano, col volto di Cristo. Per questo la Chiesa deve occuparsi meno di se stessa, delle sue strutture, dei suoi schemi e parlare di più della necessaria forza e gioia di Gesù Cristo. Il mondo ha sete non di conoscere i nostri problemi interni, ma il messaggio che ha creato la Chiesa, il fuoco che Gesù ha portato sulla terra». Un’esortazione forte, che si può non leggere anche come una presa di posizione nei confronti della «rivoluzione» proposta da molti vescovi in questi giorni nei rapporti fra Roma e le conferenze episcopali. E per il Sinodo stesso: il presidente dei vescovi tedeschi, il card. Karl Lehmann era stato durissimo: così com’è, il Sinodo non funziona. «Non credo che un Sinodo che dura dalle 3 alle 4 settimane, con le procedure attuali, possa produrre un buon testo finale. Si dovrebbe adottare un altro modello, circoscrivendo meglio i lavori, focalizzando gli argomenti. In pratica, si dovrebbe mettere quest'organo nelle condizioni di lavorare concretamente»; E ha aggiunto: è «assai difficoltoso discutere assieme». I vescovi, molti di loro, vogliono partecipare a un Sinodo che abbia il potere di decidere sugli argomenti trattati. Il presule svizzero Amedée Grab, presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa, ha detto che «la prima questione che emerge è quella della mancanza di tempo sufficiente per elaborare in modo sinodale, unitario, veramente guidati dal tema di fondo e da una visione teologica, gli elementi emersi nei contributi in plenaria e nei lavori dei circuli minores». Gli aveva fatto eco il vescovo di Sion, mons. Brunner: «Dobbiamo cercare delle forme efficaci, che consentano di dare risposte valide per le singole Chiese locali. È necessario, nella Chiesa, un "organo efficiente di collegialità", cioè un Sinodo, nel quale tutte le regioni della Chiesa universale siano rappresentate da delegati scelti liberamente, e che si incontri regolarmente per lavorare insieme al Papa». E’ un bisogno di partecipare alla vita della Chiesa, e implicitamente un’accusa di centralismo, che volente o nolente, fa giungere ogni decisione all’imbuto della Curia. Un’esigenza sempre più sentita, tanto che anche mons. Tadeusz Kondrusiewicz non teme di dire che «il treno della comunità mondiale potrebbe passare senza la partecipazione della Chiesa, se non verrà intensificata l'azione comune dei vescovi e il lavoro del Sinodo. È necessario limitare gli interventi personali dei partecipanti nel Dibattito in Aula, allargare i tempi di lavoro dei Circoli minori, e imparare dall'esperienza dei Sinodi delle Chiese Orientali, che prendono decisioni concrete, con una maggiore collaborazione e fiducia tra Chiese locali e Curia romana e ampliando le competenze delle Conferenze episcopali, in armonia con i dicasteri vaticani e con il ministero di Pietro». Kondrusiewicz parla dall’Europa dell’Est, ma il Presidente della Conferenza Episcopale ecuadoriana, mons. José Mario Ruiz Navas, afferma che « è possibile migliorare il modo di mettere in pratica la collegialità e di vivere lo spirito o affetto collegiale», e attacca il documento «Apostolos Suos» che avoca ogni decisione di una conferenza episcopale a Roma, se non c’è l’unanimità: «Spetta ad ogni Vescovo applicare nella Chiesa particolare le linee pastorali concordate nella Conferenza Episcopale, ma non può ignorarle. Non può esserci un veto da parte di pochi». Fino ad arrivare alla proposta rivoluzionaria di mons. Patrick James Dunn, di Auckland (Nuova Zelanda): una ridiscussione del «ministero petrino», cioè del ruolo del Pontefice, e un vertice annuale dei vertici delle conferenze episcopali di tutto il mondo «con i fratelli nell’episcopato nella Curia Romana, al fine di discutere le difficoltà che molti vescovi diocesani devono affrontare».

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