IL TETRAGRAMMA NEL NUOVO TESTAMENTO

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Per molto tempo si è creduto che il divino Tetragramma "YHWH", reso in ebraico con le lettere %&%*, (il quale ricorre oltre 6800 volte nel testo ebraico del Vecchio Testamento) non comparisse negli scritti originali del Nuovo Testamento. A l suo posto si credeva che gli scrittori neotestamentari avessero usato il termine greco per "SIGNORE", "KYRIOS".

Comunque, sembra che tale opinione sia errata. Ecco alcuni fattori da considerare:

1) Il Tetragramma nella versione greca del VT, la Settanta (LXX).

Una delle ragioni addotte a sostegno della summenzionata opinione era che la LXX sostituiva "YHWH"

(%&%*) con il termine "KYRIOS", (kurios) che era l’equivalente greco della parola ebraica "ADONAY" usata da alcuni ebrei quando nella lettura della Bibbia incontravano il Tetragramma.

Comunque, recenti scoperte hanno mostrato che la pratica di sostituire nella LXX "YHWH" con "KYRIOS" cominciò in un periodo molto tardo rispetto all’inizio della diffusione di tale versione. Infatti, le copie più antiche della LXX conservano il Tetragramma scritto in caratteri ebraici nel testo greco. (vedi app. 1)

A conferma di questo fatto ci sono le parole di Giacomo, il traduttore della Vulgata latina. Egli scrisse nel prologo ai libri di Samuele e Re: "In certi volumi greci troviamo tuttora il nome di Dio, il tetragramma, espresso in caratteri antichi." E in una lettera scritta a Roma nel 384 dice: "Il nono (nome di Dio) è composto di quattro lettere; lo si pensava anecfòneton, cioè ineffabile, e si scrive con queste lettere: iod, he, vau, he (=%&%*). Ma alcuni non l’hanno decifrato a motivo della rassomiglianza dei segni e quando lo hanno trovato nei libri greci l’hanno letto di solito PIPI (pipi)". S. Girolamo, Le lettere, Roma, 1961, vol. 1, pp. 237, 238; confronta J.P. Migne, Patrologia Latina, vol. 22, coll. 429, 430.

Ulteriore conferma viene da The New International Dictionary of New Testament Theology, che scrive: "Testi scoperti di recente mettono in dubbio l’idea che i traduttori della LXX abbiano reso il Tetragramma JHWH con KYRIOS. I più antichi mss. della LXX oggi disponibili hanno il tetragramma scritto in lettere ebraiche nel testo greco. Questa consuetudine fu conservata da successivi traduttori ebrei dell’Antico Testamento nei primi secoli d.C.". Vol. 2, pag. 512.

Di conseguenza si può facilmente dedurre che se gli scrittori del NT nelle loro citazioni del VT usavano la LXX avrebbero di sicuro lasciato il Tetragramma nei loro scritti così come ricorreva nella versione greca del VT. In quanto alla correttezza di questa conclusione è interessante notare la seguente dichiarazione fatta prima del ritrovamento di manoscritti comprovanti che la LXX conteneva in origine il Tetragramma:

"Se quella versione (LXX) avesse ritenuto il termine (YHWH), oppure avesse usato un termine greco per JEHOVAH e un altro per ADONAY, tale uso sarebbe stato senz’altro seguito nei discorsi e nelle argomentazioni del NT. Quindi nostro Signore, nel citare il 110° Salmo, invece di dire Il SIGNORE ha detto al mio SIGNORE’ avrebbe potuto dire: "JEHOVAH ha detto ad ADONI". Supponiamo che uno studioso cristiano stesse traducendo in ebraico il Testamento Greco: ogni volta che incontrava il termine KYRIOS, egli avrebbe dovuto valutare se nel contesto c’era qualcosa che indicasse il vero corrispondente ebraico; e questa è la difficoltà che sarebbe sorta nel tradurre il NT in qualsiasi lingua se il titolo JEHOVAH fosse stato lasciato nell’AT (LXX). Le Scritture Ebraiche avrebbero costituito una norma per molti brani: infatti ogni volta che ricorre l’espressione ‘l’angelo del SIGNORE’, sappiamo che il termine SIGNORE rappresenta JEHOVAH; si poteva giungere a una conclusione simile per l’espressione ‘la parola del SIGNORE’, secondo il precedente stabilito nell’AT; e così nel caso del titolo ‘il SIGNORE degli eserciti". Quando invece ricorre l’espressione ‘mio SIGNORE’ o ‘nostro SIGNORE’, dovremmo sapere che sarebbe inammissibile il termine JEHOVAH, e si dovrebbe usare ADONAY o ADONI". R. B. Girdlestone, Synonyms of the Old Testament, 1897, p. 43.

A ulteriore sostegno di questa tesi vi sono le parole del prof. George Howard, dell’Università della Georgia (USA), che osserva: "Quando la Settanta che la Chiesa neotestamentaria usava e citava conteneva il nome divino in caratteri ebraici, gli scrittori del Nuovo Testamento inclusero senza dubbio il Tetragramma nelle loro citazioni". Biblical Archeology Review, March 1978, p. 14.

Di conseguenza diversi traduttori del NT hanno lasciato il nome divino nelle citazioni dal VT fatte dagli scrittori neotestamentari. Si possono notare, ad esempio, le versioni di Benjamin Wilson, di Andrè Chouraqui, in lingua Efik e in Malgascio. (vedi fot. n. 1-4)

2) Il Tetragramma nelle versioni ebraiche del NT

Come molti sanno, il primo libro del NT, l’evangelo di Matteo, fu scritto in ebraico. La prova di ciò si trova nell’opera di Girolamo De viris inlustribus, cap. III, dov’è scritto:

"Matteo, che è anche Levi, e che da pubblicano divenne apostolo, per primo compose un Vangelo di Cristo in Giudea nella lingua e nei caratteri ebraici, a beneficio di quelli della circoncisione che avevano creduto. Non si sa con sufficiente certezza chi l’abbia poi tradotto in greco. Inoltre l’ebraico stesso è conservato fino a questo giorno nella biblioteca di Cesarea, che il martire Panfilo collezionò così diligentemente. Mi è stato anche permesso dai nazareni che usano questo volume nella città sira di Berea di copiarlo". Dal testo latino a cura di E. C. Richardson, pubblicato nella serie "Texte und Untersuchungen zur Geschichte der altchristlichen Literatur", vol. 14, Lipsia, 1896, pp. 8, 9.

E’ quindi naturale concludere che quando Matteo citava passi del VT in cui compariva il Tetragramma (cosa che avveniva sia nel VT ebraico che in quello greco allora disponibili) avrebbe di sicuro lasciato "YHWH" nel suo Vangelo in quanto mai nessun ebreo osò togliere il Tetragramma dal testo ebraico della Sacra Scrittura.

A conferma di ciò vi sono almeno 27 versioni ebraiche del NT che presentano il Tetragramma nelle citazioni del VT o dove il testo lo richiede (si veda app. 2). Tre di queste sono le versioni di F. Delitsch, di I. Salkinson e C. D. Ginsburg e della United Bible Societies, ed. 1991. (vedi fot. 5, 6 e 7)

3) Il Tetragramma negli scritti cristiani secondo il Talmud babilonese

La prima parte di quest’opera giudaica è intitolata Shabbath (Sabato) e contiene un immenso codice di regole che stabiliscono cosa si poteva fare di sabato. In un punto si discute se di sabato è lecito salvare i manoscritti biblici dal fuoco, dopo di che si legge:

"Nel testo si affermava: ‘Gli spazi bianchi (gilyohnim) e i Libri dei Minim, non possiamo salvarli dal fuoco’. Rabbi Jose disse: ‘Nei giorni lavorativi bisogna ritagliare i Nomi Divini che vi sono contenuti, nasconderli e bruciare il resto’. Rabbi Tarfon disse: ‘Possa io seppellire mio figlio se non li bruciassi insieme ai Nomi Divini che contengono qualora mi capitassero fra le mani". – Dalla traduzione inglese del dott. H. Freedman.

La parola "Minim" significa "settari" e secondo il dott. Freedman è molto probabile che in questo passo indichi i giudeo-cristiani. L’espressione "gli spazi bianchi" traduce l’originale "gilyohnim" e poteva significare, applicando ironicamente il termine, che gli scritti dei "Minim" valevano quanto un rotolo bianco, cioè nulla. In alcuni dizionari questo termine è dato come "Vangeli". In armonia con ciò, la frase che compare nel Talmud prima del brano summenzionato dice: "I libri dei Minim sono come spazi bianchi (gilyohnim)".

Così nel libro Who was a Jew?, di L. H. Schiffman, il suindicato brano del Talmud è tradotto: "Non salviamo dal fuoco i Vangeli e i libri dei Minim. Vengono bruciati dove si trovano, essi e i loro Tetragrammi. Rabbi Yose Ha-Gelili dice: ‘Durante la settimana si dovrebbero togliere da essi i Tetragrammi, nasconderli e bruciare il resto’. Disse Rabbi Tarfon: ‘Possa io seppellire i miei figli! Se mi capitassero fra le mani, li brucerei con tutti i loro Tetragrammi". Il dott. Schiffman prosegue argomentando che qui per "Minim" si intendono i cristiani ebrei.

Ed è molto probabile che qui il Talmud si riferisca ai cristiani ebrei. E’ un’ipotesi che trova consensi fra gli studiosi, e nel Talmud sembra ben suffragata dal contesto. In Shabbath il brano che segue la suddetta citazione narra una storia riguardante Gamaliele e un giudice cristiano nella quale si allude a parti del discorso della Montagna. Quindi, questo brano del Talmud è una chiara indicazione che i cristiani inclusero il Tetragramma nei loro Vangeli e scritti.

In vista di tutto quanto precede ci sono valide ragioni per asserire che gli scrittori del Nuovo Testamento riportarono il Tetragramma nella loro opera divinamente ispirata.

Appendice 1

Elenco versioni della Settanta contenenti il Tetragramma:

    1. LXX P. Fouad Inv. 266 (si veda fot. n. 7)
    2. LXX VTS 10a
    3. LXX IEJ 12
    4. LXX VTS 10b
    5. 4Q LXX Levb
    6. LXX P. Oxy. VII. 1007
    7. Aq Burkitt
    8. Aq Taylor
    9. Sym. P. Vindob. G. 39777
    10. Ambrosiano O 39 sup.

Appendice 2

Elenco versioni ebraiche del NT contenenti il Tetragramma:

    1. Vangelo di Matteo, a cura di J. du Tillet, Parigi, 1555
    2. Vangelo di Matteo, di Shem-Tob ben Isaac Ibn Shaprut, 1385
    3. Matteo ed Ebrei, di S. Munster, Basilea, 1537 e 1557
    4. Vangelo di Matteo, di J. Quinquarboreus, Parigi, 1551
    5. Vangeli liturgici, di F. Petri, Wittenberg, 1537
    6. Vangeli liturgici, di J. Claius, Lipsia, 1576
    7. NT, di E. Hutter, Norimberga, 1599
    8. NT, di W. Robertson, Londra, 1661
    9. Vangeli, di G. B. Jona, Roma, 1668
    10. NT, di R. Caddick, Londra, 1798-1805
    11. NT, di T. Fry, Londra, 1817
    12. NT, di W. Greenfield, Londra, 1831

 

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