Sindona

Venerdì 20 Luglio 2001

Dal Vaticano al ponte dei Frati Neri
La tragedia di un uomo che non riuscì a far quadrare i bilanci di Sindona e conosceva troppi segreti di Oltre Tevere

Vincenzo Tessandori QUANDO lo trovarono, a Londra, alle 8 del mattino del 18 giugno ’82, Roberto Calvi aveva 62 anni ed era un banchiere affermato e chiacchierato. Troppo affermato e troppo chiacchierato. Una settimana prima era come evaporato da Roma. Quel venerdì di fine primavera il traffico sulle acque del Tamigi era intenso, qualcuno vide penzolare un lungo fagotto scuro sotto l’arcata del Black Friar Bridge, il ponte dei frati neri, fra quello di Waterloo e quello di Southwark, quasi a metà fra il Parlamento e la Torre, a 50 metri malcontati dalla vecchia redazione del «Times». Il fagotto era il corpo di un uomo, non molto alto, pochi capelli, nessun segno particolare. Appeso per il collo, da quel momento il termine suicidio diventò anche un verbo. Transitivo: qualcuno, quell’uomo, lo aveva suicidato. Secondo il passaporto si chiamava Gianfranco Calvini. Un anonimo benestante: oltre al documento, nelle tasche c’erano aveva anche gli occhiali e banconote straniere equivalenti a 20 milioni di lire. Avrebbe dovuto avere con sé una borsa di pelle: era finita nelle mani di Flavio Carboni, il suo collaboratore più fidato, verrà aperta da Enzo Biagi in diretta tivù parecchie stagioni più tardi e sarà una delusione. Alle spalle di quel corpo sospeso, ma non la videro subito, si allungava un’ombra che pareva aver origine dalla più misteriosa delle nebulose: quella chiamata Mafia. In un certo qual modo, dieci anni prima lui aveva ereditato la gestione del Banco Ambrosiano da Michele Sindona e con quella anche l’incarico di far quadrare bilanci che presentavano un buco di 250 milioni di dollari, del ’74. Non fu fortunato, o non fu abile, oppure non poté lavorare come avrebbe voluto. Fatto è che nell’81 quel buco si era allargato a 1200 milioni di dollari e lui venne arrestato e processato per una serie di reati valutari da far tremare i polsi. Tornato libero era riuscito in un mezzo miracolo, o forse in un miracolo intero: aveva trovato il denaro per tamponare il debito, che toccava i 1400 milioni, di dollari, naturalmente, in scadenza dal 30 giugno ’82. Ma se aveva giocato tutto su quei numeri, solo all’ultimo momento si era accorto che non sarebbero usciti. Così, aveva deciso la fuga. Non è una tragedia solo italiana quella rappresentata a Londra: ma, per un motivo o per l’altro, tutti i personaggi, sono legati all’Italia. Ci sono gli spregiudicati banchieri con la tonaca, c’è Sindona, che più tardi verrà arrestato per la Manhattan Bank e condannato a 25 anni per il crollo della Franklin Bank di New York: forse è lui il cervello maligno che dirige il gioco più costoso, ma quando non servirà più, il 22 marzo ’86, prima che gli venga in mente di parlare, lo uccidono nel carcere di Voghera . Calvi era anche chiamato «il banchiere di Dio» per via di certi legami non superficiali con la Santa Sede e prima di partire per il suo ultimo viaggio, aveva scritto una lettera a Giovanni Paolo II, e il sapore delle parole è quello di una richiesta precisa: «Sono stato io che su preciso incarico dei Suoi autorevoli rappresentanti, ho disposto cospicui finanziamenti in favore di molti paesi e associazioni politico religiose dell’Est e dell’Ovest, ho coordinato in tutto il Centro e Sud America la creazion e di numerose entità bancarie, soprattutto allo scopo di contrastare la penetrazione e l’espandersi di ideologie filo-marxiste. Molti sono coloro che mi fanno allettanti promesse di aiuto a condizione che io parli delle attività da me svolte nell’interesse della Chiesa; sono proprio molti coloro che vorrebbero sapere da me se ho fornito armi o altri mezzi ad alcuni regimi dei Paesi del Sud America per aiutarli a combattere i nostri comuni nemici e se ho fornito mezzi economici a Solidarnosc o anche armi e finanziamenti ad altre organizzazioni dei Paesi dell’Est. Ma io non mi faccio ricattare... ». Però, si fece ammazzare, forse da quelli che volevano parlasse.

TORINO
Daniele Cavalla

TORINO «E’ un film della memoria. Il nostro, come disse Sciascia, è un Paese senza verità e io cerco di non dimenticare. Le mie sono opere di rilevanza sociale visto che aiutano a capire fatti che hanno caratterizzato la nostra storia recente». Sono parole di Giuseppe Ferrara, il regista di titoli di denuncia come «Giovanni Falcone» e «Cento giorni a Palermo», in questi giorni a Torino sul set de «I banchieri di Dio». La sceneggiatura scritta da Ferrara con Armenia Balducci ricostruisce la vicenda di Roberto Calvi, il presidente del Banco Ambrosiano trovato impiccato nel giugno di diciannove anni fa sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra. «Questo film fa paura - ha detto Ferrara - al punto che la sezione credito cinematografico della Banca Nazionale del Lavoro sta cercando di fermarlo e con scuse capziose e grottesche blocca il finanziamento previsto di 4 miliardi e 600 milioni. E’ un fatto gravissimo, un attentato alla libertà di espressione per una pellicola che, fra l’altro, è già stata acquistata dalla Rai e da una televisione a pagamento e che, grazie alla distribuzione nelle sale della Columbia, sarà venduta anche all’estero». Prodotto da Enzo Gallo per la Sistina Cinematografica, il film comincia nel 1976 con una rapida scena con Michele Sindona e poi si dipana dal febbraio del 1981 al 17 giugno dell’anno successivo, giorno in cui viene trovato il cadavere del potente banchiere. Dichiara il regista: «Dopo tredici anni di tentativi riesco finalmente a realizzare un film che non rivelerà nessun mistero, visto che ci sono già due sentenze del Tribunale sul caso, ma che si propone di riportare a conoscenza del pubblico un’inchiesta ricca di colpi di scena. E’ comunque grottesco pensare che uno si possa suicidare in quel modo». In un primo tempo destinato a Gian Maria Volontè, il ruolo di Calvi è stato assegnato a Omero Antonutti. «Questo è anche un film civile - spiega il protagonista - in quanto è doveroso realizzare lavori in cui si racconta una pagina della nostra storia. E’ giusto che i giovani sappiano che cosa succedeva. Calvi era un personaggio cinico, inquietante, impenetrabile: quello che mi ha più intrigato è il Calvi privato, fragile e sempre bisognoso di conforto da parte della famiglia. Uomo venuto dal nulla, egli riuscì a portare il Banco Ambrosiano a livelli internazionali. L’ambizione l’ha tradito, trasformandolo persino in un ingenuo». Nel ruolo di monsignor Marcinkus, presidente della Banca Vaticana, si cimenta il celeberrimo replicante di «Blade Runner», Rutger Hauer. «Sono sicuro - ha detto l’attore olandese - che il film non dirà quello che è successo ma esporrà un punto di vista. Può essere utile per indurre alla discussione dato che è una storia non soltanto italiana ma internazionale. Io intendo il cinema come comunicazione, spero quindi che il messaggio arrivi ovunque». «I banchieri di Dio» si avvale anche delle interpretazioni di Pamela Villoresi, Alessandro Gassman e Giancarlo Giannini (impersona Flavio Carboni). Le riprese si svolgono sino al 10 agosto a Torino con il sostegno della Film Commission («Ho scelto questa città - ha sottolineato Ferrara - per una situazione produttiva molto favorevole e, soprattutto, per ragioni artistiche, visto che lo scenografo Davide Bassan e io abbiamo giudicato le vecchie regge sabaude l’ideale per la ricostruzione degli ambienti vaticani»), poi la troupe si sposterà a Belgrado dove verrà «ricreato» il ponte londinese Blackfriars Bridge ora in restauro. La lavorazione si concluderà entro dicembre, l’uscita del film al cinema è prevista nella primavera del 2002.

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