La guerra dei parroci

La guerra dei parroci
nella chiesa in condominio

Nel villaggio di Soposcin la popolazione si divide l'unico edifico sacro
reportage

ALBERTO STABILE

SOPOSCIN (LEOPOLI) - «Possono esserci due padroni in una stessa casa?». Anna Rekh, 87 anni, nata sotto gli Asburgo, cresciuta sotto i polacchi, invecchiata sotto l'Urss, guarda verso le cupole del santuario dove lei, fedele alla chiesa grecocattolica, prega in difficile condominio con gli ortodossi, e sentenzia: «Devono costruirsi una loro chiesa, altrimenti non ci sarà mai pace da queste parti».
Siamo in un villaggio della Galizia contadina dove passa il confine religioso che divide l'Europa. Leopoli dista soltanto una ventina di chilometri, ma, qui, gli appelli del Papa all'unità dei credenti in Cristo suonano irraggiungibili. Questa è terra di dominazioni politiche e di conquiste religiose. Appartenere a una delle schiere in lotta è elemento essenziale dell'essere. A tutti, a turno, è toccato essere carnefici e perseguitati.

Ora sono i grecocattolici, o uniati, a passare per prepotenti. Ma negli anni dello stalinismo furono perseguiti, la loro fede venne ricacciata nelle catacombe, le loro chiese spogliate e trasmesse agli ortodossi fedeli al patriarcato di Mosca. Tra il 1989 e il 1991, tuttavia, non soltanto gli uniati sono usciti dalla clandestinità riappropriandosi delle loro chiese, ma oggi, grazie all'appoggio del Vaticano, conoscono una nuova rinascita, a scapito, stavolta, degli ortodossi.
Basta girare un po' per questa campagna ricca, fra minuscoli paesini dove si ergono chiese imponenti, per rendersi conto che qui la divisione è il sale della religiosità. Tra Soposcin e Zhovkva, che distano non più d'un chilometro l'uno dall'altro, si concentrano, rigorosamente isolati da alte mura, un ex convento domenicano del ‘500, un convento basiliano del ‘700 e uno seminario ortodosso, più recente. Ci sono chiese ortodosse che sono state cattoliche e chiese cattoliche che sono diventate ortodosse. Ma se chiediamo a Maria Rekh, che differenza c'è tra greco cattolici e ortodossi, lei ci pensa un po' su e alla fine risponde: «Non lo so».

Eppure, a Soposcin nel ‘91, quando gli uniati si precipitarono a riprendersi la loro chiesa, che nel ‘46 Stalin aveva dato agli ortodossi, gli incidenti durarono settimane e fu un miracolo che nessuno fosse ucciso. Il confine allora, passava proprio lungo la ferrovia che taglia la strada verso il villaggio. Le ambulanze si fermavano al di qua dei binari, perché al là c'era la guerra.
Oggi non si combatte più ma la tensione rimane. La chiesa in condominio, dedicata alla Madonna, serve i fedeli delle rispettive schiere a orari alterni. Seduto nel giardino della casa canonica, con sulle gambe l'ultima nata, una bimba di due anni, Padre Vassilij Basarab, il parroco ortodosso fedele al Patriarcato di Kiev, ci spiega come funziona: «Una settimana celebro la liturgia alle nove del mattino e il parroco grecocattolico la celebra a mezzogiorno e la settimana successiva a lui tocca alle nove e a me a mezzogiorno, e così via».

Ma Maria Rekh e le sue vicine non si accontentano: «Quella chiesa è nostra. C'è una lapide che indica l'anno della costruzione, 1890. Cosa c'entrano i Moskalì?». «Moskalì», un modo dispregiativo per dire moscoviti, è l'epiteto che i grecocattolici riservano agli ortodossi, come dire?, servi di Mosca. E poco importa se padre Vassilij è un seguace di Filarete, il vescovo ribelle che ha voluto incontrare il papa.

C'è, senza dubbio, un senso di rivincita, nel modo in cui i greco cattolici stanno sistemando i conti aperti cinquant'anni fa dal diktat di Stalin. Ma quanto c'è di vero nel vittimismo degli ortodossi? Padre Bogdan Kilievskij, il rappresentante del Patriarcato di Mosca, ci riceve nella sua casa sorta accanto alla chiesa ortodossa appena finita di costruire. Aiuti da Mosca? «Neanche un copeco», dice. Bogdan spiega come la divisione religiosa, in Galizia, passi anche attraverso le famiglie. «Io stesso ho un cugino parroco grecocattolico». E vi parlate? «Qualche volta, ma mai di religione».
Il pope ci guida nella chiesa di Zhovkva, anche questo un edificio di nuova costruzione, dove un'urna di vetro e oro aspetta anche una piccola parte delle reliquie di San Partenio, martire, morto nel 250 dopo Cristo. Le spoglie erano conservate in Vaticano. Tre secoli fa, col permesso del papa, furono traslate nel monastero di Vasilevskij, greco cattolico. «Ma non è giusto - sottolinea il Bogdan - che i cattolici si tengano tutto. Una parte di quei resti spettano anche a noi». Così la guerra di religione, come nel medio evo cristiano, rischia di trasformarsi in una guerra delle reliquie.

Tratto da http://www.repubblica.it/quotidiano/repubblica

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