Il papa dei concordati

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I confini terreni della carità

Uno studio di Susan Zuccotti sul "Vaticano e l'Olocausto in Italia" racconta, tra l'altro, l'iniziativa dei conventi e delle istituzioni vaticane che accolsero i perseguitati durante l'occupazione tedesca

di BARBARA RAGGI 

Prima o poi qualunque studioso, anche occasionale, dello sterminio si imbatte nel problema posto dai comportamenti e dalle posizioni della Chiesa durante la seconda guerra mondiale. Susan Zuccotti, storica niente affatto occasionale della questione, ne ha fatto un libro: Il Vaticano e l'Olocausto in Italia (Bruno Mondadori, pp. 373, L..48.000) di rara chiarezza e riassuntivo del dibattito in corso. Da un punto di vista tematico il testo è diviso in due parti: nella prima si affronta la posizione vaticana sulla legislazione antiebraica, mentre la seconda è dedicata non solo al silenzio di Pio XII ma all'indagine sui numerosi conventi e istituzioni vaticane che aprirono le porte ai perseguitati durante l'occupazione tedesca, per capire se agissero o meno su preciso mandato papale. Per molti anni, la storiografia ha aggirato la leggenda di un papa buono, Pio XI, coraggioso, antifascista, strenuo sostenitore dei diritti delle minoranze, sottratto dal destino alla Chiesa nel momento meno adatto. Se papa Ratti fosse stato vivo sarebbe andato di persona a fermare i treni che si portavano via gli ebrei romani rastrellati il 16 ottobre; se fosse stato presente avrebbe denunciato lo sterminio, avrebbe scomunicato i nazisti. Si continua a dimenticare - e Susan Zuccotti lo ricorda puntigliosamente fondandosi su un apparato documentario inappuntabile - che Pio XI è stato il papa dei concordati (con l'Italia fascista e con la Germania di Hitler), il successore di Pietro che ha sollevato problemi sulle leggi antiebraiche solo per le parti che interferivano direttamente con i poteri che la Chiesa avoca a sé. Duole dirlo, ma per quanto riguardava il Vaticano la legislatura antiebraica non rappresentava un problema. Concettualmente si restava fermi al medioevo: gli ebrei non sono portatori di diritti, non sono cittadini, possono - anzi devono - essere sottoposti a una legislazione speciale, che ha anche una funzione protettiva nei loro confronti. La flebile voce di papa Ratti si alzò soltanto per puntualizzare le prerogative ecclesiastiche in materia di matrimoni e di conversioni. Sul resto silenzio assoluto, anzi una tacita approvazione che divenne palese nei giorni convulsi del governo Badoglio quando, mediante le buone grazie di Maglione, si chiese esplicitamente il mantenimento della legislazione in atto tranne, appunto, le norme su matrimoni e conversioni. Vero è che nel 1943 Pio XI era morto, ma in quegli anni un gran numero di comunità ebraiche dell'est europeo erano già state sterminate e il nesso tra le leggi razziste e la deportazione era palese ai più. Dopo aver demolito la fiaba di un papa morto troppo presto per combattere fino in fondo la battaglia, il testo passa all'analisi delle gesta di Pio XII. La polemica sul silenzio di Pio XII è cominciata nella seconda metà degli anni '60, da una generazione di storici meno legata a paure ancestrali, e ha avuto l'innegabile merito di spingere gli studiosi a caccia di documenti fino, però, a ingessarsi su una questione tutta etica. Il pontefice come guida della cristianità avrebbe avuto il dovere morale di prendere una posizione chiara, condannare il nazismo e l'antisemitismo. Questa posizione finisce per attribuire alla Chiesa un ruolo nella società che, in altri contesti, nessuno desidera abbia. Proviamo a essere laici fino in fondo, lasciando ai credenti la questione morale. Pio XII è stato un capo di stato e - secondo le regole della sua religione - il vicario di Cristo. Si è mosso come tale, considerando prioritarie le difese dei privilegi della Chiesa che si sentiva minacciata più dai bolscevichi che dai nazisti. D'altronde, la Chiesa aveva un suo progetto politico sul destino dell'Europa - un progetto che si può leggere, neanche troppo tra le righe, negli articoli di padre Messineo: una volta sconfitta l'Unione Sovietica, la Germania nazista sarebbe stata accerchiata da stati retti da governi autoritari o fascisti in cui il peso e la voce della Chiesa erano forti. Un modus vivendi con i nazisti si sarebbe trovato. Sarebbero stati costretti a scendere a patti. Qualche milione di morti causati solo dalla propria religione erano forse un prezzo che si poteva pagare. Non è un caso che nessuna denuncia sia stata spesa per i massacri compiuti dagli Ustascia - con l'ordine dei francescani in prima linea - o per le politiche di Tiso, addirittura un ecclesiastico. Il pontefice non è sfuggito alle regole ciniche della realpolitik, peccato si continui a negarlo. In Italia - come documenta Susan Zuccotti - non si sfuggì a questa regola generale. Bassa mobilitazione per strappare ai carnefici i cattolici conversi dall'ebraismo, ossia tutti coloro considerati cattolici dalla Chiesa ed ebrei dalle leggi razziali e mobilitazione zero per gli altri. I conventi, le chiese, i singoli sacerdoti e suore che decisero di aprire le porte a chi rischiava la vita lo fecero per loro iniziativa, e non per un ordine impartito gerarchicamente. Zuccotti ricorda, tra l'altro, senza sminuire il coraggio e il rischio che si assunsero, come molti conventi fossero attrezzati per ospitare laici. I conventi e le istituzioni spesso funzionavano da convitto per studenti di entrambi i sessi e, a causa della guerra, si trovavano a corto di ospiti paganti. Nononostante lo si racconti spesso, nessun rifugiato fu ammesso all'interno della clausura: non ce n'era bisogno. Tutte queste comunità religiose agirono di propria iniziativa: non esistono né documenti né testimonianze che dimostrino l'esistenza di un ordine impartito dal papa o dalla curia perché venisse dato rifugio agli ebrei. E' falsa dunque la tesi che spiega il silenzio papale come una strategia politica per non compromettere i religiosi impegnati nel soccorso ai perseguitati. La parte più coinvolgente del testo - asciutta ma partecipata - è relativa al ruolo della Delasem: l'acronimo sta per Delegazione assistenza agli emigrati. Si occuparono, prima del 1938, di favorire l'immigrazione in Italia degli ebrei tedeschi, dopo di aiutarli a fuggire, e durante la persecuzione di cercare nascondigli e offrire sussidi minimi alla sopravvivenza di persone che per il loro stesso passato non avevano legami bastanti a salvarli. Il passaggio dalla legalità alla clandestinità per >l'organizzazione fu lento: più che una scelta consapevole, uno scivolamento progressivo dovuto alla necessità. Alcuni sacerdoti collaborarono attivamente con la Delasem, anche qui di propria iniziativa senza alcun ordine papale, contribuendo a salvare alcune vite. Molti autori, De Felice in primo luogo, hanno presentato questi religiosi come i veri protagonisti delle molteplici azioni della Delasem, mentre ora Zuccotti con il suo studio ristabilisce una verità affermata in primo luogo dai sacerdoti stessi che fecero parte della Delasem, esponendo la propria vita a un rischio altissimo: l'organizzazione venne pensata e gestita da ebrei con la collaborazione di non ebrei, alcuni religiosi altri no. La gratitudine per chi si è esposto non può cancellare o coprire le responsabilità politiche di coloro che hanno fatto altre scelte. Questo vale per le vicende di ieri come per quelle di oggi. 

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