Abusi su suore

SUOR ESTHER FANGMAN ROMPE IL SILENZIO: LE RADICI ECCLESIASTICHE DEGLI ABUSI SULLE SUORE

DOC-1080. BOLOGNA-ADISTA.

"Esiste una croce pesantissima che noi religiose benedettine siamo costrette a portare, in quanto vittime del comportamento sessuale di un prete. Tacere significherebbe acconsentirvi". Così esordisce suor Esther Fangman, benedettina americana, psicologa da più di trent'anni, in un rapporto presentato al Congresso degli abati, dei priori e delle abbadesse di ordini benedettini svoltosi a Roma nel settembre 2000, e pubblicato sul "Bulletin de l'Aim" (Alliance for International Monasticism, n. 70/2000). Nel documento, che fornisce un ulteriore contributo al quadro del problema dell'abuso dei preti sulle religiose (v. Adista nn. 26 e 30/2001), sr. Fangman riferisce situazioni specifiche spiegando di aver deciso di sollevare il problema perché, ha detto a "Il Regno", "sapevo di non poter conservare la mia onestà dicendomi che non avevo mai sentito nulla. Sentivo che era necessario aprire il dibattito su questi problemi appena fosse stato possibile". Problemi che includono, come coraggiosamente rileva suor Esther alla fine del suo rapporto, anche quello del celibato obbligatorio. Di seguito il testo integrale, in una traduzione de "Il Regno" (n. 7/2001).

DOVE E COME NASCONO GLI ABUSI

Sono davanti a voi, oggi, per parlare di un argomento inquietante di cui abbiamo preso coscienza in questi ultimi anni nel corso dei nostri incontri fra benedettine. Parlarne non è cosa facile, ma bisogna che io vi metta al corrente che, in alcune situazioni, esiste una croce pesantissima che noi religiose benedettine siamo costrette a portare, in quanto vittime del comportamento sessuale di un prete. Tacerne significherebbe acconsentirvi.
Questo rapporto sarà diviso in quattro parti:
- ciò che è accaduto;
- come è potuto accadere;
- una possibile spiegazione psicologica che cerchi di comprendere la dinamica degli eventi, collocandoli sullo sfondo delle influenze culturali in questo campo;
- uno sguardo alle conseguenze per la vittima.
Desidero chiarire bene fin dall'inizio che ciò che dirò non deve essere generalizzato e applicato a tutte le situazioni, i Paesi, le comunità femminili o a tutti i preti. Ad esempio, se affermassi che l'abate generale è un sant'uomo, ciò non significherebbe che tutti gli abati qui presenti sono dei santi, né che tutti i preti sono santi. Vi prego di non generalizzare. Non mi riferisco con questa mia comunicazione a tutti i preti né a tutte le comunità monastiche femminili.

Ciò che è accaduto
Durante i nostri convegni e colloqui, e nelle discussioni informali, abbiamo avuto notizia delle situazioni che vado a raccontare. In certi Paesi africani, alcuni preti sono andati in conventi e monasteri per "soddisfare le loro esigenze sessuali". Molto concretamente, ciò significa che un prete può presentarsi alla porta del convento e aspettarsi che gli venga offerta una religiosa per soddisfare il suo desiderio sessuale. In alcuni casi, quando una ragazza prende la decisione di entrare in una comunità e si reca dal prete che conosce meglio per ottenere il necessario certificato e le lettere di raccomandazione, questi non le concederà i documenti se la ragazza non va con lui. Un'altra occasione in cui può subire pressioni è quando va a confessarsi. Questo tipo di situazione da qualche anno è in aumento, probabilmente a causa dell'Aids che infuria in certi Paesi africani. Andando con una suora, che verosimilmente è vergine, il rischio di contrarre l'Aids è annullato. In certi casi è accaduto che la suora stessa sia stata contagiata dal virus e/o che sia rimasta incinta.
Un altro luogo in cui possono verificarsi violenze sessuali è in questa stessa città, Roma. Talvolta, quando le suore sono inviate qui per la loro formazione, arrivano praticamente senza un soldo in tasca. Durante le vacanze, può succedere che dei preti le avvicinino e offrano loro del denaro in cambio di un piccolo aiuto. Si domandano loro dei favori. Esse s'immaginano di dover andare a servizio, a fare dei lavori di casa... e invece si rendono conto di trovarsi nella situazione in cui si domandano loro dei favori sessuali.
Non è di certo solo in Africa o in Italia che si verificano tali situazioni. Sono al corrente pure di casi avvenuti negli Stati Uniti, e anche altrove, in Messico, Giappone, eccetera. Può avvenire in modo differente a seconda dei luoghi. Ad esempio, ecco come si è sviluppato un caso che è accaduto negli Stati Uniti. Vi metto a conoscenza di questo, non per sminuire il dolore causato dalle violenze sessuali sulle nostre sorelle africane, ma perché vorrei cercare di spiegare meglio come queste situazioni possano verificarsi contro la volontà delle suore e delle monache.

Come è potuto accadere
In questo episodio avvenuto negli Stati Uniti, fu coinvolta una suora che per la prima volta era stata nominata direttrice di una scuola elementare. All'inizio dell'anno scolastico, questa suora un giorno si trovò in grande difficoltà con i genitori e gli alunni. Scossa e agitata, dopo la chiusura della scuola andò a parlarne col parroco. Arrivò in lacrime, visibilmente sconvolta. Egli la fece entrare nel suo ufficio, chiuse la porta e la prese sulla ginocchia abbracciandola "per consolarla". L'ascoltò con attenzione e rispose con parole di simpatia. Il turbamento con il quale era arrivata aumentò per la confusione causata dal comportamento del parroco. Da un lato egli sembrava comprendere, dall'altro qualcosa in lei diceva "non posso credere che ciò accada, non mi sembra corretto". Ma il gesto immediato con cui lui la prese sulle ginocchia la colse di sorpresa. Essa esitò per lo sconcerto, e quando poté capire ciò che stava accadendo, era già passato un po' di tempo. Lui continuava a dire parole di comprensione, di simpatia. Sebbene lei cominciasse a dubitare e a sentire la voce dentro di lei che diceva "attenzione", invece si disse: "È solo molto comprensivo, solo questo". In quell'occasione non ci fu alcun altro contatto di natura sessuale. Ma col passare del tempo egli continuò a mostrasi "molto comprensivo, pieno di compassione", e "l'affetto fisico" si manifestò con altri approcci. Lei considerò l'atteggiamento iniziale "senza alcuna intenzione". Alla fine, la relazione divenne sessuale e la suora perse contatto con la verità dentro di sé.

Una spiegazione psicologica plausibile
Continuava a essere una suora, ma col passare del tempo cadde preda dell'ansia e della depressione. Perché? Ciò si verificò a causa del fatto che era alle prese con una contraddizione interiore che voleva risolvere senza ammetterla. Sapeva che le sue azioni e il suo comportamento erano in conflitto con la sua fede. In psicologia, Leon Festiger chiama questo stato "dissonanza cognitiva". Quando le cose in noi sono contraddittorie, in conflitto, sperimentiamo la dissonanza. Egli afferma che in ciascuno esiste uno slancio di autenticità, di integrità, che vuole fare corrispondere le nostre azioni e i nostri pensieri a ciò che crediamo. Abbiamo il bisogno di essere coerenti: e di fronte all'incoerenza, proviamo una dissonanza cognitiva che deve essere in qualche modo risolta. Può avvenire in diversi modi. Uno di questi è mutare il comportamento. "Smetti di fare ciò che ti fa essere in contraddizione con quello che credi". Nel caso in esame, la suora poteva smettere di vedere il prete. Una seconda maniera di risolvere questo conflitto interiore è cambiare modo di pensare, sia mutando veramente la propria fede, sia non tenendone conto. Può apparire semplice, ma in molti casi non lo è affatto. Così, questa suora può aver cominciato a dirsi, ad esempio, "mi ama veramente, e io lo amo, come può essere male questo?". Si cerca di ragionare, per comprendere la situazione. Ma a livello inconscio questa suora non poteva accettare tale ragionamento, da cui il suo stato di ansia e depressione. Una terza soluzione per la dissonanza cognitiva è "separare", o allontanare da sé la parte in conflitto, facendo come se non esistesse. È una forma di dissociazione. In certe persone, per qualche tempo funziona. Spesso poi si aggiungono altri comportamenti per cercare di perdere coscienza di questa illogicità, come l'alcolismo e l'uso di droghe. Ma se una persona ha l'abitudine alla preghiera, specialmente la preghiera contemplativa, la dissonanza emergerà, allora occorre affrontarla e curarla.
Ho portato questo esempio perché ritengo importante esaminare le situazioni di violenza sessuale da parte di un prete con una certa comprensione, senza giudizi severi. Se si cresce all'interno di una cultura - o di una famiglia - che ha determinate opinioni riguardo agli impulsi sessuali, considerati non solo naturali ma da assecondare come cosa sana, per essere uomini e così via, quando la Chiesa interviene e dichiara "i preti devono essere celibi", allora si produce la dissonanza cognitiva. La prima soluzione a questo conflitto, ovviamente, è semplicemente osservare il celibato. Un'altra soluzione consiste nel considerare la legge del celibato nel contesto di altri ragionamenti che la annullano. Ad esempio: "Roma non comprende la nostra cultura; il celibato non è cosa normale; non intendono veramente dire che non si devono avere relazioni sessuali; gli uomini hanno il diritto di appagare i loro desideri sessuali, ecc.". Non voglio minimizzare l'orribile ingiustizia di queste violenze sessuali, ma semplicemente cercare di comprendere ciò che avviene. Il nostro comportamento è fortemente influenzato dalla cultura in cui cresciamo. Se si cresce in una cultura che ha istituzionalizzato certe convinzioni, esse fanno parte di noi, sono iscritte dentro di noi, e noi le accettiamo. Arriviamo al punto in cui la nostra immaginazione non può scorgere altro. Se dunque appartengo a una cultura che ha un tipo di struttura in cui gli uomini stabiliscono ciò che è bene e ciò che è male e in cui le donne devono obbedire, io, se sono donna, consento a tutto questo. Se la struttura gerarchica è la seguente: gli anziani, gli uomini più giovani, i ragazzi, le donne e le ragazze, io assorbo la nozione che sono inferiore, che è l'uomo che sa. E se in questa cultura il prete ha sostituito il capo, o la figura che rappresenta la saggezza spirituale, allora è lui il primo, poi vengono gli anziani, gli altri uomini, poi i giovani, le donne, eccetera. Dunque, se un prete chiede favori sessuali a una suora, sebbene questa non se ne renda conto, la sua immaginazione non le consente di pensare che potrebbe anche dire: "No, non lo farò". La chiara libertà di scelta non è sempre così priva d'ambiguità come ci augureremmo. Non si tratta di una situazione in cui un uomo e una donna decidono di comune accordo di avere una relazione sessuale. Non è una situazione in cui un prete e una monaca/suora partono con la stessa capacità di decidere. Le donne hanno imparato a sottomettersi a "colui che sa". E tuttavia noi possiamo condannarla se acconsente.
Per comprendere tutta la forza di questa formazione culturale, porterò un esempio preso altrove. Nel 1973 a Stoccolma, in Svezia, in una banca quattro persone vennero prese e tenute in ostaggio da alcuni individui per cinque giorni e mezzo. Alla fine, esse furono liberate e fu uno shock per il mondo intero scoprire che alcune delle vittime avevano paura della polizia che le aveva liberate. E quando i rapitori furono processati, alcuni degli ostaggi testimoniarono in loro favore. Alcuni arrivarono addirittura a pagare per loro gli avvocati. Venne chiamata la "sindrome di Stoccolma". Come è potuto avvenire? Quando la sopravvivenza di una persona dipende da un'altra e quest'ultima la tratta bene e/o usa minacce violente nei suoi confronti, la vittima, per sopravvivere, comincia col sottomettersi, e poi finisce per adottare il punto di vista dell'oppressore sulla realtà. È la sua maniera di risolvere una situazione di dissonanza cognitiva in cui l'aggressore, da un lato, rappresenta una minaccia e, dall'altro, è il solo che possa assicurare la sopravvivenza. La vittima dà un altro nome a ciò che avviene, dà un altro senso alla realtà. Nella situazione di Stoccolma il nemico diventa quello indicato dagli aggressori. Da allora, questo fenomeno è stato previsto e compreso dai negoziatori in caso di sequestri di aerei o navi. I negoziatori sanno che più la condizione degli ostaggi si prolunga, più costoro si identificheranno con i pirati.
Ebbene, se questo è il risultato così evidente nel caso di una prigionia durata soltanto cinque giorni e mezzo, perché dovrebbe essere difficile percepire chiaramente che una cultura che influisce su 10, 18 anni o più della vita di una persona, sarà determinante per il pensiero o la condotta futura di quella persona? Cambiare mentalità è una lotta lunga e ardua. Come si può semplicemente affermare che la suora non deve fare altro che dire "no", soprattutto a qualcuno che lei considera più saggio? È un punto di partenza squilibrato, un terreno di gioco diseguale. È una situazione alla Davide e Golia, con la differenza che Davide poteva pensare di avere il diritto di combattere Golia, mentre a certe donne non viene neppure in mente l'idea di poter dire "no". Ma tutto questo va cambiando.
Le donne osano alzare la voce. Le religiose ora cominciano a parlarne. La pena - la croce - comincia a manifestarsi. La voce interiore che sempre risuonava, ma sepolta così profondamente che non si poteva udire, si leva e dice "non va bene!". È la stessa voce che gridava l'ingiustizia della schiavitù negli Stati Uniti, la stessa voce con cui Gesù proclamava che dobbiamo amare gli altri come noi stessi. Questo comandamento non permette alcun oltraggio come quelli attestati dal comportamento violento verso le donne.

Le conseguenze per la vittima
Cosa accade alle religiose vittime di un prete nel modo descritto? La loro vita è sicuramente finita se esse contraggono il virus dell'AIDS, ed è finita la loro vita come religiose se restano incinte. Ma cosa avviene nella loro psiche, come vedono se stesse? Esse sono afferrate dalla dissonanza cognitiva quando tutto l'insegnamento che hanno ricevuto nella vita religiosa dice loro che devono essere vergini, e invece hanno una relazione sessuale con un prete. Come fare coesistere queste cose? Generalmente l'uomo reagisce in modo differente dalla donna, se si trova in cima alla scala gerarchica in termini di considerazione da parte della società. È una posizione privilegiata, ed è importante comprendere questo concetto di "privilegio". Non è qualcosa che si merita: è dato dalla nascita, si nasce uomo. Nel caso che esaminiamo, esiste il privilegio addizionale conferito dal sacerdozio. Poco importa che genere di persona sia: in quanto ha il titolo di prete egli è reputato saggio, colui che conosce cosa è bene e cosa è male eccetera. Chi si trova in questa posizione avrà tendenza a risolvere il conflitto, la dissonanza, screditando la regola o l'altra persona: getterà comunque il discredito al di fuori di sé. Ma se si è una donna, sottovalutata in quanto donna, allora la tendenza sarà quella di screditare se stessa. Comunemente ciò si esprime con sentimenti come: "io sono cattiva", "è colpa mia". Più la donna stima il ruolo dell'uomo o quello del prete, più essa svilisce se stessa e più si rivolge dei rimproveri. Questo si accompagna a una grande vergogna, a una convinzione crescente della sua pochezza. E nella vita comunitaria monastica, questo non resta soltanto riferito alla persona stessa, ma può condurre all'isolamento, alla diffidenza (specialmente di fronte all'autorità), generare collera, fobie, depressione e causare comportamenti compulsivi come la masturbazione. La vergogna non è soltanto molto dolorosa, ma anche potente. Tutto ciò di cui parla Benedetto al capitolo 72 della Regola, come i fratelli e le sorelle devono trattarsi reciprocamente, diviene più difficile a causa della pena interiore. E così gli altri della comunità, che non sono stati direttamente vittime, ne soffrono anch'essi. E se il prete viene a celebrare l'eucarestia? Pensate che colei che ne è stata vittima possa dimenticare quello che è accaduto quando il prete leva l'ostia e dice "il corpo di Cristo"? Ma il danno più grave è forse quello arrecato alla relazione con Dio tutti noi cerchiamo di accostarci a Dio in modo coerente. E dunque il nostro modo di avvicinare coloro che ci stanno vicini sarà riflesso nella nostra relazione con Dio. Ora, come può chi crede di valere meno di niente essere convinto che Dio voglia veramente parlargli di quanto vale ai suoi occhi (Is 43)? Soltanto quando ciò che si è vissuto può essere chiamato, nella verità, col suo vero nome - una violenza -, allora le cose possono cambiare.
Sono venuta da voi oggi per mettervi a parte di una pena delle nostre sorelle benedettine. Esse fanno parte di noi. Noi vogliamo dire loro che siamo in ascolto, sentiamo la loro pena, siamo solidali con loro. Stiamo come un tempo Maria ai piedi della croce, vicino a quelle che portano la loro croce. E preghiamo. Preghiamo perché questo problema venga risolto. Unitevi a noi in questa trepidazione. E infine, noi crediamo che il vangelo che ci sta a cuore debba essere messo in pratica. Deve avere su di noi più influenza della cultura. È per questo che la prima questione da trattare è il valore di tutti gli esseri umani e, in particolare, si deve insistere sul rispetto per le donne. In secondo luogo, dovrà essere esaminata la questione del celibato.

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